Prima di presentare una richiesta all’URP di ARPA Puglia, si consiglia la lettura delle risposte alle Domande Frequenti (FAQ) in questa pagina. Le medesime FAQ (Domande e risposte) si trovano in fondo alle pagine dei Temi/Servizi di interesse. AcquaAlimentiAmiantoAriaBalneazioneBibliotecaCampi elettromagneticiEmergenze AmbientaliFitosanitariInquinamento luminoso
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Le fasi previste nell'iter di bonifica di un sito contaminato sono descritte nell'art. 242 del DLgs 152/06 e ss.mm.ii. Si riporta di seguito l'elenco delle principali fasi e si allega un schema, a scopo esemplificativo, dell'iter amministrativo:
Comunicazione (art. 242 c.1)
Indagine preliminare (art. 242 c. 2)
Notizia di contaminazione e Piano di caratterizzazione (art. 242 c. 3)
Analisi di rischio sito specifica (art. 242 c. 4)
Programma di monitoraggio (art. 242 c. 5 e c. 6)
Progetto operativo degli interventi di bonifica (art. 242 c. 7 e c. 8)
Messa in sicurezza operativa (art. 242 c. 9 e c. 10)
Indagini ed attività istruttorie (art. 242 c. 12 e c. 13)
Certificazione di avvenuta bonifica (art. 242 c. 13)
Per aree contaminate di ridotte dimensioni si applicano le procedure semplificate di intervento riportate nell'allegato 4 Parte IV del DLgs 152/06 e smi.
Ai sensi dell'art. 242 del DLgs 152/06 e smi le indagini ed attività istruttorie nell'iter di bonifica di un sito contaminato sono svolte dalla Provincia, che si avvale della competenza tecnica dell'Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente (ARPA) e si coordina con le altre amministrazioni. Compete alla Provincia rilasciare la certificazione di avvenuta bonifica. Qualora la Provincia non provveda a rilasciare tale certificazione entro trenta giorni dal ricevimento della delibera di adozione, al rilascio provvede la Regione.
Le competenze in materia ambientale degli Enti Locali sono stabilite da atti normativi nazionali e regionali. Possono così essere sintetizzate:
Comuni: funzioni di controllo territoriale, autorizzazioni urbanistiche e paesaggistiche (ove presente la Commissione) e competenze in materia di pianificazione urbanistico-territoriale, gestione dei rifiuti, gestione delle acque e depurazione, difesa del suolo, rilevamento dell'inquinamento atmosferico;
Province: funzioni di controllo territoriale,procedimenti autorizzativi in materia ambientale (es. V.I.A., Valutazione di Incidenza, autorizzazione alle emissioni in atmosfera, agli emungimenti e agli scarichi idrici, ecc.), compiti di pianificazione territoriale sul territorio provinciale;
Regioni: indirizzo politico e legiferazione in materia ambientale e di tutela del paesaggio, pianificazione e programmazione a livello regionale,procedimenti autorizzativiin materia ambientale (es. V.I.A., Valutazione di Incidenza, autorizzazioni urbanistiche, paesaggistiche, ecc.);
Comunità Montane: valorizzazione dei beni ambientali e paesaggistici;
Aree Metropolitane: pianificazione territoriale, tutela e valorizzazione dell'ambiente, rilevamento dell'inquinamento atmosferico, interventi di difesa del suolo e di tutela idrogeologica, gestione delle acque e depurazione, gestione dei rifiuti.
Per maggiori approfondimenti è possibile consultare:
DLgs 152/06 e smi (Testo Unico Ambientale);
LR 14 giugno 2007 n. 17 e smi - Disposizioni in campo ambientale, anche in relazione al decentramento delle funzioni amministrative in materia ambientale.
Il "rinvenimento" riguarda generalmente un inquinamento con conseguente potenziale contaminazione. È possibile rilevare una effettiva contaminazione a seguito dell'espletamento delle procedure operative previste dalla norma (art. 242 e successivi del DLgs 152/06 e smi), pertanto per la risposta si rimanda alle FAQ precedenti.
Le principali istituzioni preposte alla tutela dell'ambiente naturale e paesaggistico sono:
Corpo Forestale dello Stato,
Polizia Provinciale,
Istituzioni locali di vigilanza ambientale.
Per la sicurezza agroalimentare è possibile rivolgersi a:
Carabinieri del Comando per la Tutela della Salute (Nucleo Antisofisticazioni e Sanità),
Carabinieri del Comando Politiche Agricole e Alimentari,
Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari,
presso le sedi provinciali competenti per territorio.
Il reato in materia ambientale è, al pari di ogni altro reato inerente ad altri settori, di competenza generica di tutta la Polizia Giudiziaria (P.G.). Dunque, non esiste alcuna competenza selettiva che determini un'esclusività degli organi di P.G. (Cass. Penale, sez. III, 27 set. 1991, n. 1872). La Suprema Corte, per ovviare a realistiche problematiche derivanti da una mancata qualificazione professionale da parte della P.G. considera che la stessa può avvalersi di persone idonee in qualità di ausiliari. È importante precisare che tutti gli organi di P.G. devono intervenire d'iniziativa e su segnalazione di un privato, anche solo per prendere la notizia di reato. Di fatto, però ci sono organi istituzionalmente preposti e preparati verso i reati ambientali. Infatti, tra tutti gli organi di P.G. (Carabinieri, Corpo Forestale dello Stato, Guardia di Finanza, Polizia di STATO, Guardia Costiera, Guardiaparco, ed altri statali o locali) a seconda del reato è possibile individuare delle specializzazioni. Per es. nell'ambito paesaggistico, faunistico e floristico, il Corpo Forestale dello Stato risulta più competente, nonché la Polizia Municipale e quella Provinciale. Per reati che riguardano l'ambiente in generale, un corpo altamente specializzato è il NOE (Nucleo Operativo Ecologico) dipendente dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (il numero verde: 800.253608). A tal proposito, la Regione Puglia e Arpa Puglia hanno stipulato un accordo con le Forze dell'Ordine (Guardia di Finanza, Carabinieri - NOE e Corpo Forestale dello Stato) proprio per rendere più efficienti ed immediati gli interventi, su segnalazione e/o per normale monitoraggio ambientale, nel territorio regionale. La tematica rifiuti nella sua fattispecie è caratterizzata da due casi particolari a cui seguono provvedimenti distinti. Si deve contraddistinguere il caso di abbandono di rifiuti, generalmente dovuto all'azione di un privato e quindi di una persona fisica (ma naturalmente può essere anche ad opera di persona giuridica) e il caso di attività di gestione di rifiuti non autorizzata, ad opera di persona giuridica. L'abbandono di rifiuti da parte di persona fisica è disciplinato dall'art. 255 della Parte IV del DLgs 152/06 e smi, il quale indica che chiunque abbandona o deposita rifiuti ovvero li immette nelle acque superficiali o sotterranee è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da trecento euro a tremila euro. Se l'abbandono riguarda rifiuti pericolosi, la sanzione amministrativa è aumentata fino al doppio. In questo caso il Sindaco emette ordinanza ad hoc per la rimozione dei rifiuti abbandonati. Chiunque non ottempera a tale ordinanza, di cui all'art. 192 del decreto suddetto, inerente al divieto d'abbandono, è punito con la pena dell'arresto fino ad un anno. Il caso di attività di gestione di rifiuti non autorizzata, ad opera di persona giuridica (impresa o ente), è disciplinato dall'art. 256 dello stesso decreto, il quale afferma che chiunque effettua un'attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione (di cui agli articoli 208, 209, 211, 212, 214, 215 e 216 del DLgs 152/06 e smi), nonché abbandono o deposito in modo incontrollato di rifiuti ovvero immissione degli stessi nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all'art. 192 del DLgs 152/06 e smi sempre ad opera di persona giuridica, è punito:
con la pena dell'arresto da tre mesi a un anno o con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi;
con la pena dell'arresto da sei mesi a due anni e con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti pericolosi.
Se si delinea la condizione di discarica non autorizzata, chiunque (privato, impresa o ente) la realizzi o la gestisca è punito con la pena dell'arresto da sei mesi a due anni e con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro. Si applica la pena dell'arresto da uno a tre anni e dell'ammenda da euro cinquemiladuecento a euro cinquantaduemila se la discarica è destinata, anche in parte, allo smaltimento di rifiuti pericolosi. Alla sentenza di condanna o alla sentenza emessa ai sensi dell'art. 444 del Codice di Procedura Penale, consegue la confisca dell'area sulla quale è realizzata la discarica abusiva se di proprietà dell'autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi. Le pene suddette sono ridotte della metà nelle ipotesi di inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni, nonché nelle ipotesi di carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni.
La legislazione italiana (vedi DLgs 152/06 e smi, parte II, e Legge Regionale 11/01 e smi) definisce e disciplina in modo puntuale il concetto di "impatto ambientale" e prevede un elenco di determinate tipologie di progetti, attività, impianti e piani che possano provocare impatti negativi dal punto di vista ambientale. Pertanto, la realizzazione di quanto detto, deve essere subordinata ad una preventiva procedura tecnico-amministrativa che consiste:
nella valutazione di impatto ambientale (VIA), per progetti di varia natura (agricoltura, industria, turismo, ecc.);
nella valutazione ambientale strategica (VAS), per quanto riguarda gli strumenti di pianificazione (piano di gestione rifiuti, P.U.G, lottizzazioni, ecc.).
Tali procedure servono ad identificare e quantificare tutti gli impatti sull'ambiente da parte dei progetti e piani proposti. Inoltre, esse hanno il fine di definire le misure necessarie alla mitigazione o compensazione degli impatti, nonché le modalità di monitoraggio e controllo delle attività impattanti (emissioni in atmosfera, produzione rifiuti, scarichi, ecc.). Solo nel caso in cui la valutazione si concluda con un giudizio positivo di compatibilità ambientale il progetto potrà essere realizzato. Nel caso in cui si vogliano ottenere informazioni su progetti industriali già realizzati e assoggettati alla normativa sulla VIA, è conveniente presentare una semplice richiesta di accesso agli atti presso l'Ufficio Tecnico del Comune in cui l'intervento è stato realizzato. Il Comune, infatti, rilascia il titolo abilitativo solo dopo aver acquisito tutti le autorizzazioni necessarie e conserva copia di tutti gli elaborati presentati. Si potranno avere a disposizione lo specifico studio di impatto ambientale prodotto dal proponente, i verbali delle conferenze di servizio, i pareri degli enti coinvolti a vario titolo nella procedura, il piano di monitoraggio e controllo. Gli stessi documenti, ed anche le relazioni annuali del proponente in merito ai controlli ambientali effettuati, potranno essere richiesti agli enti preposti al rilascio del giudizio di compatibilità ambientale: Provincia o Regione nei casi più diffusi, Ministero dell'Ambiente per le VIA di competenza nazionale. Per quanto riguarda le costruzioni civili, sono compresi nella normativa di VIA solo i villaggi turistici o i centri residenziali di particolare estensione, mentre le lottizzazioni, a partire dal 2007, rientrano nella disciplina della VAS. Le informazioni necessarie potranno essere richieste con le medesime modalità riportate precedentemente, ma nel caso delle lottizzazioni si tenga presente che il Comune rappresenta il "proponente", mentre l'autorità preposta alla valutazione è l'ufficio VIA-VAS della Regione Puglia. Si evidenzia che entrambe le procedure di VIA o VAS sono procedure di tipo "partecipato", pertanto ogni cittadino, in forma singola o tramite associazione, potrà direttamente intervenire, con le proprie osservazioni, nel processo decisionale, ma nel rispetto dei tempi e modi previsti dalla legge. Il proponente di ogni nuovo intervento per il quale sia necessaria la procedura di valutazione, è tenuto a informare la cittadinanza in merito al tipo di progetto, ubicazione, uffici dove poter consultare la documentazione e tempi per esprimere le osservazioni (30-60gg). Di solito la comunicazione avviene, per esempio, attraverso inserzione sul BURP o su quotidiani. Inoltre, per alcuni progetti in corso di valutazione è possibile scaricare la documentazione relativa dal sito della Regione Puglia.
La tutela nonché manutenzione di giardini e zone verdi comunali spetta al Comune di competenza in particolare all'Assessorato all'Ambiente ove istituito o Ufficio Tecnico, in quanto proprietario dell'area, il quale attraverso ditte private provvede alla manutenzione degli stessi. Qualora la ditta non svolga adeguatamente le attività di competenza è necessario segnalare il fatto al Comune, che attraverso la Polizia Municipale effettuerà i controlli dovuti. Nel caso in cui l'Autorità comunale risulti inadempiente, allora è possibile segnalare la situazione al Corpo Forestale dello Stato mediante il numero gratuito 1515 di pronto intervento per qualsiasi tipo di emergenza ambientale, attivo 24 ore su 24, grazie al quale gli uomini del Corpo forestale dello Stato rispondono alle diverse richieste di tutela del patrimonio naturale e paesaggistico, di tutela del patrimonio agroambientale, di difesa contro gli incendi boschivi, di protezione civile e di pubblico soccorso, segnalate direttamente dai cittadini. Il campo di azione del servizio è molto vasto ed è in grado di ricevere un ampio ventaglio di segnalazioni come incendi boschivi, taglio illegale di piante, abusivismo edilizio in aree protette, bracconaggio, pesca illegale, fauna ferita, sversamenti di sostanze tossiche, illecito smaltimento dei rifiuti, pubblico soccorso e protezione civile (persone disperse, segnalazione di frane, valanghe e alluvioni) come indicato nel sito web.
Si veda la FAQ 12.
Premesso che non esiste una normativa nazionale e regionale specifica sulla “bonifica e rimozione di serbatoi interrati contenenti gasolio”, le procedure da seguire nel caso in oggetto derivano dagli obblighi generali previsti dalla normativa in materia di ambiente, sicurezza ed edilizia.
In particolare, gli adempimenti in materia ambientale discendono dal Testo Unico Ambientale (D.Lgs. n. 152 del 03/04/2006 e s.m.i.). Per effettuare la rimozione del serbatoio interrato è necessario innanzitutto gestire i rifiuti in esso eventualmente ancora presenti (ad esempio gasolio residuo e morchie), secondo quanto stabilito dal titolo 1 della parte IV del D.Lgs. n. 152/2006, rivolgendosi a ditte specializzate e autorizzate a tale operazione. Allo stesso modo dovranno essere gestiti eventuali altri rifiuti edili derivanti dalle operazioni di rimozione, come ad esempio tubazioni, pavimentazioni, fondazioni. Tutti i rifiuti prodotti, compreso lo stesso serbatoio bonificato, dovranno essere classificati, ricorrendo anche a campionamento ed analisi da parte di laboratorio chimico ove necessario, adeguatamente stoccati a norma in cantiere e infine affidati a ditta autorizzata per il trasporto al sito finale di recupero o smaltimento. Particolare attenzione deve essere posta nelle attività di pulizia e svuotamento della serbatoio per gli aspetti relativi alla sicurezza, in conformità al D. Lgs 81/08 (Testo unico sulla sicurezza).
Successivamente, per quanto riguarda gli obblighi previsti dal Titolo V della Parte IV del D.Lgs. n. 152/06 e s.m.i., se a seguito della rimozione del serbatoio, dovessero essere visibili sversamenti di gasolio sul terreno o vi siano evidenze organolettiche di contaminazione (anche in relazione ad eventi pregressi), è necessario che i soggetti interessati adempiano alla procedura stabilita dall’art. 242 comma 1, mettendo in atto tempestivamente le misure di prevenzione ed effettuando le comunicazioni agli Enti preposti. Successivamente dovrà essere effettuata l’indagine preliminare, prevista ai sensi dell’art. 242 comma 2, su suolo e/o falda per verificare direttamente il rispetto delle CSC (concentrazioni soglia di contaminazione) per gli inquinanti pertinenti. In base agli esiti della stessa si procederà con i successivi adempimenti previsti dal Titolo V del D. Lgs 152/06.
In caso non vi siano evidenze di contaminazione, è comunque opportuno conservare documentazione idonea al fine di poter dimostrare la non contaminazione. Allo scopo potranno essere utili gli esiti di precedenti prove di tenuta effettuate sul serbatoio. In assenza delle suddette potrà essere effettuata un nuova prova di tenuta, oppure potrà essere effettuata la predetta indagine preliminare.
Infine, è opportuno verificare se, ai sensi di un eventuale Regolamento Comunale e del DPR 380/2001 e s.m.i. (Testo Unico di Edilizia), è necessario inviare una comunicazione o una dichiarazione di inizio attività all’Ufficio Tecnico Comunale per comunicare l’operazione di rimozione del serbatoio.
A titolo informativo, è possibile consultare il documento “Linee guida sui serbatoi interrati” del 15/03/2013, redatto dall’ARPA Lombardia.
Il 22/08/2017 è entrato in vigore il DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 13 giugno 2017, n. 120, Regolamento recante la disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo, ai sensi dell'articolo 8 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164.
Il regolamento costituisce il riferimento unico e completo per la gestione delle terre e rocce da scavo ed infatti riguarda:
Le precedenti norme non sono più applicabili per i nuovi cantieri, mentre per i cantieri già avviati prima dell’entrata in vigore del nuovo regolamento valgono le norme transitorie di cui al Titolo VI del DPR 120/2017.
Il decreto, nei suoi allegati, contiene inoltre tutta la modulistica utile e necessaria per l’adempimento delle procedure presenti nel DPR 120/2017 (dichiarazione di utilizzo di cui all’articolo21, documento di trasporto, dichiarazione di avvenuto utilizzo).
E’ opportuno premettere che, per la gestione di terre e rocce da scavo, è necessario regolarsi tendendo in considerazione quelle che sono le caratteristiche ambientali e chimico-fisiche delle terre e rocce da scavo e le volontà specifiche del produttore.
È possibile, pertanto, gestire le terre e rocce da scavo secondo differenti modalità:
Esclusione dalla disciplina dei rifiuti/sottoprodotti (riutilizzo in sito)
Va prioritariamente evidenziato che è escluso dalla disciplina dei rifiuti, ai sensi dell’art. 185 del D.Lgs. 152/06, comma 1 lettera c), il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato.
Al fine di dimostrare la sussistenza della deroga di cui al suddetto articolo, il proponente dovrà adempiere a quanto disciplinato dall’art. 24 del DPR 120/2017. Ulteriori dettagli sono contenuti nelle successive FAQ.
Gestione di terre e rocce
Affinché terre e rocce possano essere qualificate come sottoprodotto, ai sensi dell’art. 4 del DPR 120/2017, devono essere rispettate le seguenti condizioni:
a) sono generate durante la realizzazione di un'opera, di cui costituiscono parte integrante e il cui scopo primario non è la produzione di tale materiale;
b) il loro utilizzo è conforme alle disposizioni del piano di utilizzo di cui all'articolo 9 o della dichiarazione di cui all'articolo 21, e si realizza:
c) sono idonee ad essere utilizzate direttamente, ossia senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
d) soddisfano i requisiti di qualità ambientale espressamente previsti dal Capo II o dal Capo III o dal Capo IV del presente regolamento, per le modalità di utilizzo specifico di cui alla lettera b).”.
Dal 22 agosto 2017 sono in vigore nuove regole per gestire come sottoprodotti i materiali da scavo.
il DPR 120/2017 prevede per la gestione dei sottoprodotti diversi regimi:
Terre e rocce qualificate come rifiuti
Qualora terre e rocce non rispettino i requisiti ambientali precedentemente definiti, e ogni volta che non siano rispettati i contenuti delle dichiarazioni di utilizzo, piani di utilizzo, comunicazioni di cui all’art. 21 del DPR 120/2017, devono essere gestite come rifiuti. In questo caso la normativa da seguire è quella della parte IV del D.Lgs. 152/2006. Solo per la gestione del deposito temporaneo di terre e rocce da scavo qualificate come rifiuti valgono le norme integrative e speciali così come definite dall’art. 23 del DPR 120/2017.
Secondo quanto riportato all’art. 2, lettera d) del DPR 120/2017, per “Autorità competente” si intende l’Autorità che autorizza la realizzazione dell’opera nel cui ambito sono generate le terre e rocce da scavo e nel caso di opere soggette a VIA o AIA, l’autorità competente di cui all’art. 5, comma 1, lettera o) del TUA. Essa si riconosce nei Comuni, nelle Province o nelle Regioni a seconda dei casi.
Va evidenziato, quindi, che ARPA non svolge funzione di Autorità competente ma assolve la funzione di controllo, nei casi stabiliti dal DPR 120/2017.
Qualora le terre e rocce da scavo siano destinate a opere ed interventi preventivamente definiti e individuati da apposito progetto di riutilizzo (ai sensi del DPR 120/2017) o dalla comunicazione di cui all’ art. 21 del DPR 120/2017, si dovrà garantire la tracciabilità del materiale trasportato mediante opportuna documentazione presentata dal produttore delle terre e rocce da scavo all’Autorità responsabile del procedimento autorizzativo dell’opera che ha prodotto le succitate terre e rocce da scavo. Il DPR 120/2017 definisce, inoltre, che l’utilizzo dei materiali da scavo come sottoprodotto resta assoggettato al regime proprio dei beni e dei prodotti. A tal fine il trasporto di tali materiali è accompagnato, qualora previsto, dal documento di trasporto o da copia del contratto di trasporto redatto in forma scritta e dalla scheda di trasporto di cui all’allegato 7 del suddetto decreto. Il modello di cui all’allegato 7 deve essere compilato per ogni mezzo di trasporto e per ogni tratta, sia nel caso in cui la destinazione sia il sito di riutilizzo, sia nel caso la destinazione sia il deposito intermedio.
Qualora le terre e rocce da scavo non siano riutilizzate quali sottoprodotto ai sensi dell’articolo 4 del DPR 120/2017 , ma siano destinate a recupero/smaltimento come rifiuti, tali materiali rientrano nel campo di applicazione della disciplina in materia di rifiuti. Pertanto sono soggette alla Parte Quarta del Codice Ambientale e, in particolare, il trasporto deve avvenire predisponendo il FIR.
E’ necessario presentare un’autodichiarazione di cui all’allegato 6, che deve essere stilata sulla base di una caratterizzazione già precedentemente effettuata, secondo i valori delle concentrazioni soglia di contaminazione di cui alle colonne A e B della tabella 1 dell'allegato 5 alla parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006. Non è necessario trasmettere i risultati della caratterizzazione, ma è doveroso conservarli ai fini di un eventuale controllo successivo.
Chi intende riutilizzare le terre da scavo per destinazione a recuperi, ripristini, rimodellamenti, riempimenti ambientali o altri utilizzi su/ suolo, deve dimostrare che non sono superati i valori delle concentrazioni soglia di contaminazione di cui alle colonne A e B della tabella 1 dell'allegato 5 alla parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006, con riferimento alle caratteristiche delle matrici ambientali e alla destinazione d'uso urbanistica del sito di destinazione. Poiché tale dimostrazione è possibile solo avendo a disposizione i valori di concentrazione dei potenziali contaminanti nel terreno da scavare, l’analisi deve essere sempre fatta quando il terreno è destinato a riutilizzo nello stesso sito o in siti diversi da quello di produzione.
Si premette che, ai sensi dell’art. 3, comma 1, del decreto-legge 25 gennaio 2012, n. 2 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 28), le matrici di riporto sono “costituite da una miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito e utilizzate per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di reinterri”.
Pertanto, le matrici di riporto, per le caratteristiche stratigrafiche e per le finalità rispetto alle quali sono state utilizzate nel passato, sono nettamente distinguibili sia dal terreno naturale, sia dalla presenta eterogena e sporadica di rifiuti da demolizione, eventualmente interrati nel suolo oggetto di scavo. A tale scopo si ricorda l’importanza del piano di campionamento finalizzata anche a ricostruire la stratigrafia del suolo oggetto di scavo, in modo tale da poter ottenere campioni utili.
L’art. 4 comma 3 del DPR 120/2017 prevede che: “ le matrici materiali di riporto sono sottoposte al test di cessione, effettuato secondo le metodiche di cui al decreto del Ministro dell'ambiente del 5 febbraio 1998”. Pertanto il test di cessione deve essere eseguito su un campione di matici da riporto, avendo avuto cura di prelevare detto campione alla profondità corrispondente al solo strato di tali matrici. Il campione di matrici di riporto da analizzare, tenendo conto della definizione in premessa, sarà costituito sia da materiale naturale, sia materiale antropico. Tale campione deve essere formato in campo, in base alle indicazioni dell’allegato 4. Si ricorda che, oltre al test di cessione, le matrici di riporto devono essere sottoposte alla verifica della composizione di cui all’allegato 10. In particolare, il materiale antropico non può superare la percentuale in peso del 20% sul totale del campione prelevato per tale verifica, altrimenti non è più possibile classificare il materiale da scavare come materiale da riporto e questo implica la gestione come rifiuto.
Secondo quanto prevede l’articolo 4 comma 3 del DPR 120/2017 “Nei casi in cui le terre e rocce da scavo contengano materiali di riporto, la componente di materiali di origine antropica frammisti ai materiali di origine naturale non può superare la quantità massima del 20% in peso, da quantificarsi secondo la metodologia di cui all’allegato 10. Oltre al rispetto dei requisiti di qualità ambientale di cui al comma 2, lettera d), le matrici materiali di riporto sono sottoposte al test di cessione, effettuato secondo le metodiche di cui al DM 5 febbraio 1998, per i parametri pertinenti (da determinarsi volta per volta), ad esclusione del parametro amianto, al fine di accertare il rispetto delle concentrazioni soglia di contaminazione delle acque sotterranee, di cui alla Tabella 2, Allegato 5, al Titolo 5, della Parte IV, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, o, comunque, dei valori di fondo naturale stabiliti per il sito e approvati dagli enti di controllo.”
L'art. 185 comma 1 lett. c) del D.Lgs. 152/06 prevede appunto che sia escluso dal campo di applicazione della normativa sui rifiuti il terreno NON CONTAMINATO riutilizzato allo stato naturale nello stesso sito di produzione, disposizione confermata dall'art. 24 del DPR 120/2017.
La non contaminazione va provata ai sensi dell’Allegato 4 del DPR 120/2017 mediante verifica del rispetto dei limiti di cui alla tabella 1 All. 5 Tit. V p. IV del TUA e quindi con un prelievo ed analisi dei materiali.
In questo caso la normativa non prevede alcuna comunicazione, poiché l’art.24 si riferisce alla esclusione di cui all’art.185 comma 1 lettera c del TUA. Nei casi di deroga dalla normativa generale, al proponente spetta “l’onere della prova”, pertanto, in base al DPR 120/2017, il proponente è comunque tenuto ad effettuare la caratterizzazione secondo quanto stabilito dall’allegato 4, e a conservare la documentazione dimostrativa, mettendola a disposizione nel caso di un controllo. E’ però opportuno comunicare al comune di riferimento le modalità con cui verranno gestite le terre e rocce da scavo ed effettuate le analisi ed i campionamenti.
Tutte le dichiarazioni relative al riutilizzo dei materiali di scavo al di fuori del cantiere di produzione (prima comunicazione, eventuali modifiche e dichiarazione di fine lavori) vanno inviate anche per Posta Elettronica Certificata ad ARPA e al comune in cui ricade il sito di produzione delle terre.
La dichiarazione di avvenuto utilizzo, invece, va inviata anche al comune in cui ricade il sito di destinazione, se diverso dal comune di produzione.